Dimitri Nicolau
8 lettere ad un collega
lunedì 8 febbraio 1999
Caro S.
Ecco, ti ringrazio della tua lettera con l'indirizzo e telefono.
Sì, io abito a Roma anche se per i noti motivi di lavoro devo muovermi spesso. Tu fai il compositore naturalmente e deduco dalla tua lettera che stai in una (che ti auguro infinita) fase di ricerca e, forse, di “separazione” da padri musicali e stili imposti accademicamente e non.
La tua domanda lanciata in rete Internet mi suona proprio grande e affascinante almeno per due motivi: si pone la base per una grande domanda sul SENSO della musica e del concetto di quello che i nostri fratelli maggiori hanno chiamato sviluppo musicale, l'altra mi sembra, riguarda la formazione personale.
Mi spiego meglio: io personalmente faccio una doverosa distinzione tra scrivere musica e comporre musica, tra saper scrivere e mettersi a comporre una sinfonia. Un compositore secondo me, oggi, dovrebbe forse avere qualcosa di più di un bagaglio tecnico e storico-culturale, penso ad es. a una solida formazione personale, un' identità che non permetta scissioni tra essere e pensiero. Cose grosse certamente per cui, penso, che il tempo per una formazione personale così fatta è assolutamente necessario.
Ma qui mi sorge un'altra domanda: un compositore, uno che fa il compositore, per comporre una sinfonia, oggi, deve essere anziano anagraficamente oppure giovane internamente ?. E in questo secondo caso (la risposta è apparentemente prevedibile), come si potrebbero fondere le due esigenze e cioè quella del tempo necessario per la formazione personale e la vitalità interna, la capacità di reggere un discorso ampio, articolato e affettivamente intenso?
E ancora, chi potrebbe impedire o obbligare (sono la stessa cosa in questo caso) un giovane a comporre una sinfonia, chi obbliga un compositore navigato a farlo?. Aldilà dei ruoli e oltre la stupidità e stupida violenza dei ruoli, che cosa c'è che “costringe” alla propria libera (e spero che lo sia sempre) espressione?
Poste così le cose ci troviamo immediatamente non più su un piano e dimensione di necessità e quindi di eventuali ruoli ma su un piano diverso, quello delle esigenze. Quante cose difficili e complesse. Temi che negli ambiti ufficiali della musicologia e tra le mura dei castelli dorati della musica non hanno mai avuto diritto di esistenza, anzi, sono stati sempre disattesi e sostituiti con argomenti vacui, ingannevoli e confusi.
Mi fermo qui. Spero di avere tue notizie presto. Buon lavoro.
Dimitri.
martedì 9 febbraio 1999
Caro S.
Insomma, entriamo nel vivo dell’affascinante segreto della creatività musicale. Si, conoscevo il detto di Parker, ma bisogna approfondire qualche punto, specialmente nel vedere il senso dei due fondamentali poli della sua proposizione. Studiare e suonare la musica del passato sono perfettamente d'accordo, sull'analizzare sarei d'accordo ma non condivido affatto i mezzi e i metodi che la, amata anche da me, storia musicale anche la più recente ci offre e, direi, ci impone. La analisi formale, armonica, strutturale è, (scusami per la rapidità della mia liquidazione, sai con tanti anni di esperienza diretta non mi va perdere tempo in discussioni astratte e vacue), è dicevo, assolutamente inutile perché falsa e parziale. Presto detto: non c'è assolutamente bisogno di nessuna analisi per trovare quello che già è assolutamente ovvio ed evidente al solo ascolto.
Tutta quella storia della verticalità, delle cellule e delle strutture mi ricorda il brutto vizio di tanti colleghi aridi e “freddini” a voler a tutti i costi spiegare e illustrare la loro composizione: dieci minuti di musica fredda, algida, calcolata al millesimo, affatto libera, sempre più compiti scolastici e pallide copie dei discutibili originali dei loro padri-maestri, seguiti da pagine e pagine di spiegazioni, appunto, su come hanno fatto a fare semplicemente ...Ah! Forse si tratterebbe di proporci di fare un altro tipo di analisi musicale, più profonda e che riguarda l'origine affettiva e di fantasia del lavoro scritto e poi suonato. L'immagine interna e non retinica, l'immagine nascosta e invisibile che il filo in movimento che lega un suono all'altro crea nel suo muoversi, la favola nascosta, la melodia latente, la storia che è fatta di suoni - emozioni non percepibili dagli occhi (io un do non l' ho mai visto volare per aria) e non toccabili con le mani ma sentibili con tutto il corpo attraverso le orecchie. Stimoli alla fantasia interna di ognuno di noi.
L'analisi della musica come ci viene raffigurata serve proprio per non far capire assolutamente niente. Mi ero domandato perché hanno perfino istituito tante cattedre di analisi musicale. Ho capito a mie spese, ma in tempo, che era semplicemente un tragico e velenoso frutto di una paura, di una reale difficoltà di comprensione, la paura di non farcela a lasciarsi andare ad un ascolto recettivo per l’angoscia e la paura di sentirsi passivi. Sarà forse un caso ma hanno sempre confuso la recettività con la passività. Hanno avuto paura che ciò che è latente, una realtà interna, dal momento che non è percepibile dagli occhi non potesse esistere. Pensa al linguaggio musicale che non ha nemmeno le parole che magari aiutano a capire qualcosa aggrappandosi ad esse. Ho sempre avanzato l’ipotesi che la musicologia ottocentesca è nata proprio su questa difficoltà di “reggere” riconoscendo al linguaggio musicale una identità propria e non assimilata a quella del linguaggio verbale. Insomma per paura di accettare l'esistenza della fantasia interna dell'uomo l'hanno negata e di conseguenza .... giù parole su parole per coprire e nascondere un vuoto che realmente non c'è ma che hanno creato solo loro e chi a loro ha creduto e purtroppo ancora crede.
La analisi musicale, anche quella più moderna, non ha affrontato le sue stesse radici d'origine. Non ha mai affrontato il pensiero e cioè che è stata costruita su di un fatale equivoco a cui accennavo sopra: voler strutturare il linguaggio musicale a somiglianza di quello verbale. La geniale intuizione di De Saussure sull'immagine acustica li ha lasciati del tutto indifferenti e.... giù parole su parole. Il linguaggio musicale per la nostra natura, la sua formazione, precede quello verbale di almeno un anno intero. Arrivare quindi alla ricerca e lo studio del SENSO della musica, come accennavo nella lettera di ieri, diventa sempre più difficile se non superiamo lo stato attuale del pensiero sulla realtà della musica. Non mi voglio dilungare molto ma mi pare che il consumismo e di conseguenza il proporre sempre di più composizioni facili, superficiali, caramellose e consolatorie assume aspetti allarmanti, più allarmanti di quanto lo erano a cavallo tra il secolo scorso e l’inizio di questo.
L'altro punto, la chiusura della frase affascinante di Parker, li dove dice: buttarsi tutto ciò alle spalle, suona molto, troppo bene, ed è molto liberatorio ... direbbe qualche comico televisivo di simpatica memoria. Ma come ?. Qualche pensatore del passato che aveva a cuore la questione ci ha lasciato una bella frase di ricerca che dice : libertà per spontaneità, libertà per indifferenza. Forse Parker intendeva, lo spero io e non vorrei regalargli un pensiero non fatto, che è necessario prima conoscere a fondo il gia fatto e poi lasciarselo alle spalle, dimenticare, metterlo tra parentesi. Fosse così sarei assolutamente d'accordo solo a patto di ... analizzare, vedere, sapere su ciò che chiamiamo conoscere. Se quel conoscere si è ottenuto con strumenti e metodi appartenenti a quelli equivoci e alle confuse idee di cui sopra ecco che essa stessa conoscenza è dissociata e ingannevole. Lo so, è difficile e costoso in termini affettivi e profondi, ma realizzare una vera separazione dall'amato e goduto noto senza annullamenti non è facile.
Senza separazione però non c'è identità e resta solo l'identificazione. Schoenberg consigliava ai suoi allievi (l’ho letto su una biografia di Berg scritta dalla Karen Monson) l’imitazione come fondamento per la propria creatività! Ma per separasi bene, senza annullamenti occorre una certa identità derivata propriamente da una formazione personale e questa non può prescindere dal rapporto con la storia affinché ciò che si butta dietro le spalle non sia un vuoto fatto che poi ci risucchia come Cariddi. Per la nostra identità tocca separarsi bene, ripeto senza annullamenti, anche da persone care che ci hanno amato e abbiamo amato, anche se costa fatica e qualche dolore di pancia. Io mi sono sentito molto amato da Mozart, da Beethoven, da Verdi, Bartok, Ives, Sciostakovic… Li ho amati anch'io, molto, ma non adorato perché erano proprio esseri umani e non statue, esseri umani che la loro creatività era ricca, intensa, profonda e autentica tanto da farmi passare notte insonni. I ricordi, diceva l’Architetto protagonista del film “La condanna” di Bellocchio, sono belli e emozionanti ma ci fanno stare immobili come delle belle statue.
Io non ho mai creduto negli archetipi e nei geni cromosomatici per cui esisterebbe il gene della sinfonia o quello della canzone oppure quello della forma sonata e cosi via. La fantasia umana è frutto di rapporti diretti, immediati e si sviluppa dai rapporti concreti, diretti e immediati e quasi sempra difficili. Il ricordo si forma dopo il rapporto e dalla separazione da esso rapporto, dopo, poi. Per cui posso ascoltare tutte le sinfonie del mondo e scoprire che ce ne sono ancora altre da ascoltare e sentire, scopro che la musica non è solo quella che si sente dalla radio o viene diffusa e imposta dai mezzi di comunicazione, scopro che la vera musica, quella più profonda sta nei rapporti interumani. Un argomento come quello dello scrivere e comporre, difficilissimo e molto complesso esigerebbe grandi approfondimenti e lavoro nel tempo.Per ora ti saluto e spero a presto.
Dimitridomenica 14 febbraio 1999
Caro S.
Le discussioni restano aperte.
Il caso Cage per me non ha costituito mai un gran mistero e fascino come ho avuto per altri “artigiani” musicisti compositori e compositori ricercatori come ad esempio B. Maderna di cui condivido il detto: io faccio ricerca facendo musica. Il grosso limite di Cage è di essersi voluto fermare alla fisicità del suono, alla sua superficialità quindi, da buon positivista e pragmatista americano che ha sempre dichiarato di essere. Ha voluto ribellarsi al suo maestro Schoenberg ma senza metodo e senza una valida teoria sulla realtà del linguaggio musicale interumano. L'unica cosa che gli riconosco è quella di essere stato un sessantottino ante litteram. Un buffo, ma in fondo, un tragico burattino che ha voluto ribellarsi ma in definitiva si è ridotto semplicemente a “pisciare” con la relativa rabbia nei salotti musicali che per altro molto volentieri frequentava e che dai suoi abitanti si faceva ben mantenere. Si chiama anche “epatez les bourgeois”. Per il resto le sue sono tutte chiacchiere similfilosofiche e animomistiche condite con tanta aria fritta. Certamente era anche un po' musicista e artista e qua e la qualche cosa di simpatico gli sfuggiva dalla razionalità che abilmente condiva con salse, appunto, mistiche.
Non ci siamo e io non condivido nemmeno una virgola del pensiero di Cage sul “suo” silenzio. Allude sempre al silenzio fisico che in assoluto certamente non esiste ma è solo una questione solo fisica e di fisica piuttosto epidermica e banale.Certamente anche per F. Zappa ho simili pensieri di rifiuto radicale. Ti sembrerò lapidario ma il “ribellismo” di Zappa che in qualche modo può avere avuto una qualche risonanza in un’america conservatrice e vittoriana è un comporre per dissociazione, e cioè per niente libero. Una sequela di banalità e luoghi musicali assolutamente comuni che si alternano come in un gioco (Ah, l’elemento gioco che è così caro a Cage!) di palline che si muovono sopra tracciati semplici, limitati e prevedibili.
Il treno di Cage e una serie di altre manifestazioni (musiche nelle stanze di un castello, musica dalle fogne per strada etc.), che guarda caso gli venivano finanziate dalla borghesia malilluminata italiana che masochisticamente ha sempre voluto essere maltrattata, derisa e sfruttata da tipi come Cage, le ho viste da vicino e sempre mi veniva naturale una grande risata nel vedere chiaramente da una parte Cage cinguettare e saltellare qua e la molto gaio e poi farsi pagare fior di quattrini pubblici per le sue banalità, e dall’altra i salamelecchi dei seguaci musicisti e non, critici e operatori musicali (compresi ahimè assessori e qualche sindaco) persi tra i miasmi maleodoranti di una musica “fognaria” e inesistente pari alla veste del Re nudo della nota favola.
Ti saluto e a presto.
Dimitri.lunedì 15 febbraio 1999
C' è stato poco tempo fa sugli schermi italiani un bellissimo film : Il Sogno della farfalla diretto da Marco Belloccio su sceneggiatura originale di M. Fagioli. Non so se lo hai visto. Il protagonista è un ragazzo che non parla, non perché ha un qualche handicap fisico o qualche minus psichico, tutt'altro. Ha una bellissima voce e la usa solo quando recita sul palcoscenico grandi personaggi del teatro classico, Sofocle, Shakespeare etc. Ha scelto il silenzio verbale per il resto delle ore di ogni sua giornata e comunica con tutti, compresa la sua ragazza, attraverso il solo comportamento. È uno che da quando aveva quattordici anni si è rifiutato di parlare.
Questo è un silenzio che io condivido in pieno. È una metafora, d’accordo, una bella favola però che contiene grandi verità. Il silenzio che non nasconde un aver fatto vuoto. Un silenzio che non deriva dall’annullamento. Un silenzio che contiene un pieno interiore. E mi pare che su questo non siamo in disaccordo.
No, la mia non è un' ideologia e io non ho risposte in tasca ma alcune certezze fondamentali di come e perché alcune cose riguardo la musica stanno in un certo modo, ce le ho. Senza dubbi ossessivi ma con tantissime incertezze ancora cerco di muovermi in rapporti nuovi senza paura. Anzi ti posso dire che condivido pienamente una bellissima anche se molto impegnativa frase di Fagioli: “credere nella bellezza degli uomini lasciandoli liberi di essere brutti”.
Insomma, caro S., una cosa mi pare non ci manca : la passione per la musica. Cosa rara questa, ne convieni con me, sono sicuro. Ma, mi ripeto, il problema non sta nella musica, la sua radice è nel musicista stesso, enorme e splendido oggetto di ricerca. È li secondo me che vanno visti e considerati i quesiti più profondi sulla creatività.
Tra poco saranno le tre di notte. Domani aspetta anche me una giornata di lavoro. Teatro per le prove, continuare la composizione di un nuovo trio per sax, contrabbasso e pianoforte, quotidiani doveri.
Oh, mi viene in mente la rivista Sonus. L’articolo di Fubini sul linguaggio musicale “natura o storia?”, offre spunti interessanti anche se le argomentazioni sono piuttosto datate.
Dimitri
mercoledì 17 febbraio 1999
Gentile S., ciao.
Come ti avevo promesso ti scrivo due righe riguardo la tua lettera relativa alla questione delle grandi forme musicali (sinfonie, opere, cantate) che sembrano rare nei giorni nostri.Innanzitutto ti ringrazio di aver visitato la mia pagina che contiene un po’ di tutto. L’elenco dei miei lavori è praticamente al completo fino a un mese fa.
Nel frattempo un paio di composizioni nuove che volgono al loro termine verranno anche esse inserite. Non so se conosci l’inglese ma se hai voglia leggi anche la mia intervista ( io non sono un compositore, io faccio il compositore), non per altro, solo per una questione inerente al discorso compositivo personale in tanti ormai anni di lavoro e lotta continua sul difficile ring della musica.
Penso sia un errore di base continuare a “parlare” della musica, delle forme e di tanti altri relativi aspetti senza prima aver affrontato altre questioni fondamentali come il senso della musica, l’origine del linguaggio musicale, l’identità del compositore, il concetto della libera espressione.
Quattro pilastri fondamentali che a loro volta reggono altri non di minore importanza : l’origine della fantasia del compositore, la qualità della stessa, la qualità degli affetti, la formazione del compositore. Dopo, ci si potrebbe approfondire dilungandoci piacevolmente sul come, cosa e perché di ogni fare musicale. Certamente tutto questo non è facile, ci vuole anche un po’ di tempo e con tante esperienze personali.
Se molti colleghi e colleghe perdono il loro prezioso tempo dietro agli “affari” della e nella musica contemporanea, come i servitori dei conti e dei marchesi d’un tempo, con l’unico scopo finale di diventare direttori artistici da qualche parte e continuare così a fare i loro intrallazzi trattando la musica come merce di scambio, che a volte sanno solo di mafia e di meschinità camuffati da molto sospette ideologie esteticomusicali, a me, tutto questo, è assolutamente distante, estraneo e da molto tempo, direi, senza tema di smentite, da sempre. Io sto all’estremo opposto, compositivamente e umanamente. Nei fatti. Nella mia stessa musica. Eppure non mi mancano le belle realizzazioni. Evidentemente esiste una maggioranza di persone che si occupano di musica in modo diverso di quelli di cui prima. Ho una istantanea allergia alle “poetiche” pur amando la poesia.
Da quando ho capito la confusione del pensiero musicologico del papà di tanti nani epigoni, intendo il papà - Hanslick, neanche mi diverto più a leggere l’aria fritta di molti musicologi e critici musicali. Non ho mai delegato la mia identità all’essere riconosciuto da loro. Un esempio per tutti: il libro di M. Bortolotto “Fase Seconda” serve soltanto a non far capire niente sulla musica moderna e contribuisce solo a far passare la voglia di fare musica a chiunque si trova ancora nella disgraziata situazione di doverlo considerare importante per la sua formazione e informazione. Per ribellarsi ai padri bisogna almeno averli “studiati” sia storicamente che musicalmente.
Bisogna scoprire prima tutti gli equivoci di un artista come Wagner per poter fare poi i conti con i darmstadtiani. E li che i nostri neoromantici ci sono cascati in pieno (e chi non è diventato direttore artistico da qualche parte ha lasciato praticamente le penne): volevano ribellarsi a un nulla, ad un aspetto esteriore di struttura che contiene quasi sempre il nulla. Ma bada, non è che io mi sia “pentito” di una qualche passata appartenenza o per essermi profondamente interessato a tutto ciò che veniva proposto (a volte imposto) nel corso degli anni. Ma è un fatto che io non ho mai avuto da condividere niente con la cosiddetta avanguardia pur conoscendo tantissimi lavori e autori e da molto vicino. Ho preferito (ora posso aggiungere, spontaneamente) il diretto confronto pur rischiando ogni incomprensione. Forse negli anni (il mio primo lavoro è stato realizzato pubblicamente nel 1959) avrò sviluppato una forte resistenza agli stupidi ma sempre pericolosi virus della altrettanto stupida intellighenzia musicale obbediente a certi pensatori ed ideologi, non solo musicali. Cercando di farlo con una certa calma che non sempre mi è stato facile in quelli ambienti. Tant’è che un mio lavoro centrale a tutto questo discorso, “La Melodia Ritrovata”, l’ho composta nel 1975 come risposta personale a certi quesiti che già avevo affrontato una decina d’anni prima. Ho aspettato dieci anni prima di scriverla e per strana coincidenza ho dovuto aspettare altri dieci perché venisse realizzata.
La musica va ascoltata più che spiegata, anzi, sono convinto che non c’è niente da spiegare.
Ti saluto e spero di avere tue notizie presto.
Dimitri
mercoledì 24 febbraio 1999
Ho letto di getto la tua lettera. Grazie veramente. Certamente la passione non manca, anzi mi ha coinvolto a tal punto che ti scrivo almeno due righe, immediatamente, tra colleghi.
Perché cadere nella trappola surrettizia della scissione tra soggetto e oggetto ?.
Vedi, per me è una questione di modo di pensare. La domanda che mi è venuta spontanea nel leggere la tua di domanda era: ma l’oggetto musicale, in questo caso, chi lo fa ?. Detto altrimenti : il pensiero chi lo pensa? Vedi, la logica di origine Hegeliana e che a sua volta derivava da quella Platonica e che si protrae fino a Heideger e naturalmente passa per Wittgenstein, per Freud e il freudismo, non lascia scampo, si viene stritolati una volta trovatisi affascinati e quindi paralizzati dentro. Musica e natura (o Natura come insisti nella tua scrittura), artista e natura, uomo e natura. A quando Musica e Uomo, a quando Artista e confronto profondo e dialettico con l’essere umano, tra uomo artista e donna? Come può, se non matto (matto nel senso di malato, dissociato), un’artista essere libero e creativo obbedendo alle continue e sempre più invisibili censure della Logica? È noto nella storia umana che con la logica non si è scoperto mai niente che riguardasse la realtà umana profonda. Rendere schiava la fantasia alla logica è rendere adultomorfo un sano bambino, è uccidere la sua fantasia, quella fantasia che gli permette e ci permette di giocare ai fantasmi, di giocare all’ uomo cattivo e ai mostri, di giocare a nascondersi in un sacco, a sparire, a non esistere, di giocare liberamente perché trattasi di una invenzione, appunto, della fantasia e non di realtà. Altrimenti, e questa sì che è una logica conseguenza, si arriva a chiedersi che se la logica può controllare tutto, la logica chi la controllerà a sua volta ?
Abbiamo letto dei pensieri di Webern, di Shoenberg e dei loro nani epigoni ma penso che non abbiamo ancora letto bene le radici di quei pensieri. E da quelle che è fondamentale, almeno per me, separarci bene, per conoscenza e senza annullamenti ... logici. Forse non abbiamo letto bene altri scritti, magari di loro contemporanei come di un certo Janacek (lo so che come compositore è noto e anche amato) di cui si ignorano gli scritti teorici di enorme importanza almeno come spunti fondamentali da sviluppare. È nostro dovere d’artisti, dovere storico, separare il grano dal miglio ma non senza prima aver sradicato definitivamente l’erbaccia che nasconde coprendo il tutto. L’origine del pensiero umano è diversa da come la “spiega” il logos occidentale.Ti ricordi qualche accenno nelle mie lettere precedenti sul primo anno di vita e relative ricerche? Nell’analisi collettiva di M. Fagioli che frequento da anni, si è fatta e si fa una grande ricerca anche su questo e con comunicazioni negli incontri nella aula magna della Sapienza a Roma.
La ricerca sull’origine del linguaggio musicale non porta a niente di radicalmente nuovo se si basa su ragionamenti razionali. È il pensiero logico che dice che senza la logica si tornerebbe ad un caos di pulsioni parziali e a pensieri spezzettati come schegge impazzite nell’aere. Schoenberg con il suo Moses und Aaron non fa che ribadire che senza le tavole (dodecafoniche ?!!) di Mosè c’è il caos e il disordine e che soltanto la “parola” garantisce la solidità. Il Logos, appunto. Come pensiero d’artista e quindi come una rappresentazione lo posso al limite accettare, anzi mi serve per capire come … non stanno le cose. Ma se si scopre che l’origine del pensiero e della fantasia umana non è affatto folle e caotica (per la buona pace anche della bibbia) ecco che il minacciato ritorno, la temuta regressione sarebbe questione diversa, avrebbe tutt’altra dimensione di movimento e senso creativo. Affatto caotici. Ma questo per la logica non è molto ... logico.
Argomenti grossi, certamente, ma ogni tanto mi prende un’allergia per tutto quello che sa, e neanche tanto occultamente, di chiesa e di alienazione religiosa.
E, ancora, nelle viscere, anche a quelle più vitali della cultura musicale, la più aggiornata, si scopre che volteggia nell’aria latentemente uno spiritello traffichino perfino molto elegante e convincente ma che coltiva le foglie oppiacee dell’essere per ammirazione, una droga questa che non permetterà mai, se non prima estintasi del tutto, di separarsi per realizzare una propria nascita. Quella cultura che magari ci permetterebbe al limite una nascita fisica ma poi uccide la fantasia, non permette una separazione che lascia ricca e libera la fantasia. La vera tragedia è quella di stare nella storia e trovarsi senza una propria storia.
Dimitrigiovedì 25 febbraio 1999
Caro S.,
permettimi di dirti che ho trovato la tua lettera formidabile. Ho seguito attentamente il tuo chiarissimo e intenso percorso del pensiero.
Ma, perdonami, c’è qualche punto che non mi convince, almeno per un fatto semplice ma che per me è fondamentale e che ripropongo in forma di questione. Come una domanda per una ricerca diversa dove il filo di Arianna per uscire dal labirinto musico-logico (costruito con muri affrescati di concetti che non considerano minimamente sia l’origine della fantasia, il senso della musica che la qualità della origine della fantasia), è una creazione d’amore e non della ragione.
Ecco, siamo proprio certi che quello che abbiamo imparato a chiamare sviluppo nella musica debba essere un prodotto della mente esclusivamente razionale? Sembrerebbe storicamente di sì. Ma proprio questo aspetto fondamentale (la “durata” di cui mi scrivevi nella tua lettera) per un nuovo percorso creativo non potrebbe essere, appunto, un oggetto affascinante per una ricerca nuova e originale? Quello che i maestri del pensiero musicale avevano in qualche modo intuito per poi secondo il loro metodo di pensiero negarlo subito dopo, cioè quella che hanno chiamato come proliferazione del materiale d’origine, non alludessero ad un nuovo metodo di sviluppo nel tempo (la durata come reggere il rapporto con l’ascoltatore etc.)?
Voglio essere generoso e magari attribuire intuizioni profonde agli “ingegneri” di Darmstadt ma dopo alcune ricerche e considerazioni personali, e sempre a mie spese, ho visto che era proprio così: essi proponevano a suon di banda paesana gonfi e tronfi dall’alto del loro pulpito dell’astrazione anaffettiva, pensieri teorici che poi imponevano violentemente come, appunto, quello della proliferazione della cellula musicale per negare molto abilmente la speranza di un lavoro pur materiale ma di fantasia. Lavoro di fantasia che consisterebbe più che a controllare punto per punto e razionalmente il percorso compositivo, esso porterebbe ad una complessa e faticosa ma più efficace costruzione musicale, faticosa ma necessaria gestazione di un parto di libera espressione basata e legata unicamente alla fantasia interna dell’essere umano che fa la composizione e non soltanto la pensa. Essi proponevano una nuova oggettività al quadrato, una “musica concreta” per negare e nascondere sempre abilmente la concretezza del senso che il linguaggio musicale ha.La reale e concreta ricerca del senso della musica e dell’origine del linguaggio musicale è la questione, è li che c’è quel che io propongo come oggetto per una nuova ricerca che porterebbe ad ipotizzare almeno l’uscita dallo stretto e sempre più stupido labirinto della costruzione musicale intesa come controllo totale che abbiamo avuto come eredità imposta.
La storia della musica è piena di capolavori ma appena usciti dalla stanza arredata di ammirazione che rende e ci rende stupiti e belli e immobili, una volta riusciti a stare fuori da quella depressiva paralisi, soli anche se ricchi di quei favolosi ricordi, ci viene in mente che anche i nostri amati e amanti predecessori quando riuscivano a non essere obbedienti alla loro relativa cultura dominante scoprivano quello che magistralmente Debussy ci ha regalato dicendo: i capolavori generano regole ma le regole non generano capolavori. A quando lasceremo libera la musico-logico-teoresi a consumarsi da sola ?. Da parte mia io penso che è necessario ripartire da un “nonostante la Ragione”. Ti saluto e ti ringrazio per la indiscutibile serietà del tuo proporti, credimi non è molto comune.
Dimitri.martedì 2 marzo 1999
Sono tornato dal lavoro piuttosto tardi. Le prove al teatro sono andate abbastanza bene, i giovani attori cantano piuttosto bene e mi sembra che la mia musica e le melodie li mettono a loro agio dopo il neccessario superamento del primo impatto che risulta sempre essere complicato.
Dopo ho consegnato agli interpreti il nuovo trio “AI PIEDI DEL GIGANTE op.172” per Sax alto, Contrabbasso e Pianoforte. Sarò banale ma ho avuto la netta sensazione che anche a loro (dopo un po’ di “accidenti” che mi hanno rivolto) la nuova composizione è piaciuta. È un lavoro che è partito per una mia piccola ricerca e realizzazione, una breve composizione ispirata e poi dedicata ad una nuova immagine di M. Fagioli che è diventata una bella ma anche inquietante statua per una piazza romana. La statua è nominata, appunto, il Gigante. Questo lavoro man mano che lo portavo avanti cresceva tra le mani e alla fine ha raggiunto, senza che me ne accorgessi, credimi, la durata di venti e passa minuti. Non sapevo naturalmente nulla della tua nuova lettera in risposta a quella mia sulla questione “durata” e strada di ritorno facendo, in questa eccezionalmente primaverile Roma, pensavo ai nostri interessantissimi discorsi e pensavo a questo appena consegnato lavoro che è stato accolto dagli interpreti anche con stupore benevolo a causa della velocità con cui l’ ho composto. In soli quattro giorni.
Tornando pensavo: procedere per emozioni e non per logica narrativa si può benissimo. La memoria andava ad un’altra simile esperienza di scrittura musicale nel tempo lontano con “la melodia ritrovata”, dieci giorni per venticinque minuti di musica densa e per grande orchestra. Una non definita in partenza forma, nessuna struttura precostituita. Soltanto una sequenza di melodie anche complesse dove perfino i contrappunti, gli intrecci, le “voci” e le tensioni che fanno il procedere armonico, non rispondono che al libero emergere dall’interno della fantasia che salta perfino quel passaggio che chiamiamo pensiero per diventare immediato segno su quella superficie tracciata di linee continue che si chiamano pentagrammi. Pensavo su quello e cercavo di cogliere, di “vedere” come avevo fatto anche allora.
Più passa il tempo più mi convinco che certamente non è una questione di ripetitività di un gesto compositivo in cui mi lascio andare al fluire delle mie immagini musicali che poi o direttamente traduco in segni sulla carta. Non si tratta di qualcosa legato alla certezza razionale del mio sapere scrivere la musica. La mia sensazione anche se molto indefinita è che il “prima” al gesto compositivo è una certa immagine, una sensazione d’immagine che non è di tipo visivo, retinico ma che deriva dal rapporto con altri esseri umani, dal rapporto con immagini loro e magari anche dal confronto e la relativa “rassegnazione” al fatto che riguarda l’assoluta impossibilità di essere come l’altro. Anche per questa volta evidentemente sarà andata così. Ora sono le quattro del mattino passate. È per me questa un’ora solita in cui me ne vado a dormire. Ciao.
Dimitri